Call Me a Refugee, Not an Immigrant

Nella mattinata del 20 ottobre 2018, dopo aver assistito alla conferenza con gli autori vincitori della sezione “Il Germoglio” del concorso letterario tenuto dalla fondazione Bottari-Lattes, abbiamo avuto l’opportunità di intervistare lo scrittore Viet Thanh Nguyen, rifugiato negli Stati Uniti dall’età di quattro anni e vincitore del premio Pulitzer nel 2016.

Lo scrittore, rispondendo ad una nostra domanda, ci racconta che alcune delle sue storie sono tratte da vicende vere, come quelle della sua famiglia e di una donna che aveva conosciuto, e che le altre sono ispirate a situazioni drammatiche successe realmente. L’autore successivamente ci spiega perché nel suo libro si concentra di più sull’adattarsi alla vita da rifugiato che sul viaggio che si deve compiere: l’adattamento è qualcosa che ricorda, che ha provato e conosciuto. Afferma infatti che, anche se non tutte le storie lo riguardano, in ognuna di esse sono presenti le emozioni che ha provato. Come ultima domanda, gli abbiamo chiesto a suo parere sia più difficile l’adattamento nel nuovo Paese o il viaggio. Ci dice che per alcuni è sicuramente più difficile l’adattamento, ma che bisogna anche considerare che molti dei Vietnamiti che hanno cercato di fuggire durante la guerra del Vietnam non hanno superato il viaggio, che è quindi stata la parte più difficile. In altri casi invece il trauma maggiore è quello di lasciare il proprio Paese d’origine, come ci racconta in una delle storie.

Durante l’intervista ufficiale tenutasi nel pomeriggio al Castello di Grinzane, Viet Thanh Nguyen parla più in dettaglio della sua vita di rifugiato e di quella dei rifugiati che cercano di nascondere il fatto di esserlo. Afferma e ribadisce più volte che non deve esserci un senso di vergogna e ci lascia con questa frase: “Chiamatemi rifugiato, non immigrato”.

 

Sara Costalonga - 4B SCI